Economia

Il lavoro nero resta sommerso, anche in campagna elettorale

Grande assente del dibattito di questa strana campagna elettorale "improvvisa", il tema del lavoro nero resta invece centrale e i numeri lo dimostrano. Una criticità che non si può sottovalutare e che attraversa trasversalmente tutto il panorama italiano.

Questa estate, tra attività che lamentano la mancanza di lavoratori “disponibili” alla stagionalità, con gli aeroporti di tutto il mondo andati in tilt per la mancanza degli operatori di terra e di volo e con una campagna elettorale improvvisa che prova ad insinuarsi tra gli ombrelloni delle spiagge italiane, il tema del lavoro sembra essere tornato al centro del dibattito pubblico.

Il lavoro in nero: un problema dimenticato

Mentre però i partiti, i sindacati e le associazioni di categoria dibattono di salario minimo, reddito di cittadinanza e proposte di vario genere per risollevare le tristi sorti del mercato del lavoro italiano, a mancare è la voce del sommerso, del lavoro nero, di quei lavoratori che non hanno contratto, che non pagano tasse e che non hanno alcuna garanzia o tutela.

Un silenzio innaturale visto che i dati ci dicono con chiarezza come il lavoro irregolare sia una peculiarità dell’economia italiana.

I dati del lavoro irregolare in Italia

Secondo uno studio di Confartigianato in Italia ci sono 3,2 milioni di lavoratori irregolari per un giro di 202,9 miliardi di euro che rappresenta l’11,3% dell’intero Pil nazionale.

Il mondo del sommerso è dunque il terzo settore nazionale per numero di “occupati” preceduto solo dai servizi (16,3 milioni di addetti) e dal manifatturiero (4 milioni). Dunque il lavoro irregolare rappresenta un vasto gruppo della società che ha un peso che potrebbe essere decisivo per le elezioni del 25 settembre prossimo e che forse anche per questo resta fuori dal dibattito elettorale.

Nel Mezzogiorno il record di lavoratori irregolari

Il lavoro nero è una caratteristica che accomuna l’intero Stivale ma che, come ogni altro dato economico e sociale rilevato sulla nostra popolazione, fa emergere la frattura geografica che esiste tra il nord e il sud d’Italia. Il Mezzogiorno ha, infatti, un tasso di lavoro irregolare sull’occupazione totale che supera il 17% mentre nel Nord e nel Centro è poco sopra il 10% e nel Nord Est si ferma al 9%. In Calabria un quinto degli occupati non è regolare e la percentuale supera il 15% nelle altre regioni del sud. Un dato che mostra come l’economia meridionale sia spesso sottostimata nelle valutazioni sia statistiche che politiche che si fanno livello europeo, nazionale e locale.

I settori più soggetti al lavoro nero

Quello del lavoro nero è un fenomeno trasversale ai vari settori produttivi, ma è l’artigianato il comparto più esposto: a partire dall’edilizia per arrivare alla comunicazione, passando per il settore dell’acconciatura ed estetica, dell’autoriparazione, dell’impiantistica, della riparazione di beni personali e per la casa, del trasporto taxi, della cura del verde, e dei traslochi. Una moltitudine di lavoratori che spingono e sorreggono l’economia di intere aree del Paese ma che non contribuiscono in nessun modo al conto economico nazionale.

Giovani e lavoro nero

In più l’occupazione irregolare rappresenta, in Italia, il metodo migliore per entrare nel mondo del lavoro. È infatti proprio attraverso il lavoro neroche molti ragazzi e molte ragazze fanno il loro primo passo il primo passo nel complesso mondo degli adulti, scoprendo come l’emancipazione debba passare per un processo irregolare. Nel febbraio scorso, infatti, in un’indagine fatta da Unipol e Adapta, è stato rilevato che il 35% dei giovani sotto i 30 anni ha lavorato o lavora in nero e che i giovani lavoratori irregolari sono il doppio di quelli che hanno contratti di collaborazione, quattro volte di chi lavora con contratti a tempo determinato e sette volte di chi ha contratti a tempo indeterminato.

L’indagine è stata fatta analizzando un campione di giovani di Lombardia, Emilia Romagna e Sicilia e dunque i dati non solo sono significativi dal punto di vista numerico ma anche geografico e dimostrano come il lavoro nero sia davvero parte integrante della nostra economia.

I contratti di accesso

A pesare su questa situazione c’è sicuramente il costo del lavoro che in Italia è tra i più alti d’Europa, la mancanza di un sistema premiante per i giovani a partire dal sistema pensionistico e soprattutto una mancanza di incentivi per le forme di contratto più adatte ad accompagnare i giovani nel loro ingresso nel mondo del lavoro.

Ad esempio l’apprendistato è un percorso contrattuale utilizzato solo nel 13% dei casi e il contratto di somministrazione che è il primo passo prima di una stabilizzazione addirittura solo nell’8% dei casi. Eppure queste due forme di contratto offrono maggiori possibilità (rispettivamente del 12,5% e del 11% in più) di avere un rapporto stabile di lavoro, rispetto ai contratti a tempo determinato. Dunque dovrebbero questi due percorsi dovrebbero essere quelli più incentivati dallo Stato, attraverso politiche attive e processi di defiscalizzazione, per assicurare ai giovani un lavoro vero, lontano dalla precarietà e soprattuto regolare con tutele e doveri.

A guardare i numeri e ad ascoltare li dibattiti di queste settimane ci si rende perfettamente conto che i rimedi contro il lavoro irregolare ci sono, che le strade alternative al nero esistono, che i percorsi per dare dignità e diritti ai giovani sono percorribili. Il problema è che intervenendo davvero, si rischia di dare finalmente diritti e voce a quei circa 3,2 milioni di lavoratori che oggi non ne hanno.

Claudio Mazzone

Nato a Napoli nel 1984. Giornalista dal 2019. Per vivere racconta storie, in tutti i modi e in tutte le forme. Preferisce quelle dimenticate, quelle abbandonate, ma soprattutto quelle non raccontate. Ha una laurea in Scienze Politiche, una serie di master, e anni di esperienza nel mondo della comunicazione politica.

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