Lavoro

Lo smart working in Italia è finito?

Lo studio condotto da Randstad restituirebbe un Paese, l'Italia, in controtendenza rispetto alle altre nazioni europee: nello Stivale lo smart sembra non essere mai del tutto decollato e ora, con lo scemare della pandemia, le aziende (e i dipendenti) tornano sui loro passi.

Che l’Italia sia un Paese restio ai cambiamenti lo si potrebbe raccontare con la fotografia del referendum tra Monarchia e Repubblica del giugno del ’46. L’Italia usciva con le ossa rotte dalla seconda Guerra Mondiale con la Corona, rappresentata allora dal “re soldato” Vittorio Emanuele III protagonista della frettolosa fuga di Brindisi, nei fatti gravemente responsabile dell’ascesa fascista. Ciò nonostante, non fu certo plebiscito per la Repubblica, al contrario: più ci si allontanava dal Piemonte più il popolo era restio a cambiare.

La storia poi la conosciamo: la Repubblica ha vinto per circa 2 milioni di voti (54,3% contro 45.7%), ma in alcune circoscrizioni – come ad esempio quella napoletana – la Monarchia ha stravinto. Questo con buona pace di chi avrebbe all’epoca premiato casa Savoia volendo restarne suddito.

Ci perdoneranno i lettori il lungo preambolo per introdurre i dati di uno studio Randstad che, incrociando i dati ISTAT e Eurostat emette la sentenza: lo smart working in Italia è un fenomeno che sta rientrando. Altro che rivoluzione, come in tanti avevano pronosticato, e altro che vantaggi che tanti altri avevano sottolineato: la rivoluzione della pandemia non è diventata strutturale e si ritorna alla vita di un tempo. Questo il desiderio delle aziende italiane nei fatti (salvo, chiaramente, le eccezioni), e soprattutto questo pone l’Italia in posizione antitetica rispetto agli altri Paesi europei.

Smart working in Italia, cosa dice la ricerca Randstad

Ma cosa dicono le analisi dei dati diffuse da Randstad Research? In estrema sintesi, in Europa continua inarrestabile la crescita del lavoro erogato a distanza, mentre diversa è la situazione italiana dove gradualmente si frena, in favore di un rientro in ufficio per la maggioranza delle ore di lavoro.

Randstad afferma che sono circa 8 milioni i potenziali smart worker italiani (6,4 dei quali potrebbero lavorare totalmente a distanza, mentre il restante milione e seicentomila persone che potrebbero erogarlo in ibrido. Ebbene, secondo la ricerca solo un terzo di questa platea lavora da remoto almeno un giorno a settimana.

Nel 2019, rileva lo studio, erano 1,15 milioni gli italiani che lavoravano (almeno in parte) da casa. Questa cifra è arrivata a 2,9 milioni (almeno un giorno a settimana) a fine 2021, dato in crescita ma ancora rappresentante solo il 37,2% del potenziale di lavoratori in remoto.

Per Randstad invece, al momento della pubblicazione della ricerca il 13% dei lavoratori italiani lavora da casa e, nello specifico, il 5,9% per 2 o più giorni a settimana, il 7,1% meno di 2 giorni a settimana. “Se però – spiega la ricerca – si analizza il dato di chi lavora da casa per almeno metà del tempo, confrontandolo con gli altri Paesi europei, si scopre che l’Italia è fanalino di coda e sta evidentemente tirando il freno al lavoro da remoto“.

Il confronto tra Italia e Paesi europei

In Italia la percentuale degli occupati che lavorano almeno la metà delle ore da casa è salita dal 3,6% del 2019 al 12,2% del 2020, per scendere poi all’8,3% nel 2021. Facendo riferimento allo stesso periodo, la media dei Paesi dell’Unione europea è passata dal 5,4% del 2019 al 13,4% nel 2021 ed è tuttora in crescita costante. Dell’Europa dei 27, solo Italia e Spagna segnano un arretramento nel 2021 rispetto all’anno 2020 in tal senso, mentre tutti gli altri continuano a crescere. Nelle prime tre posizioni in classifica ci sono Irlanda, Belgio e Germania, che a fine 2021 si attestano rispettivamente alle percentuali di lavoratori in remoto del 32%, 26,2% e 17%.

Riferendosi invece a chi lavora meno della metà del tempo da remoto, l’Italia non è in decrescita, ma ha comunque un forte gap con i fratelli europei. Il Belpaese è passato – in questo senso – dall’1,1% del 2019 al 6,5% nel 2021, ma resta comunque nelle ultime posizioni, più di 3 punti e mezzo percentuale in meno rispetto alla media europea e 25 punti percentuale in meno dei Paesi bassi, tra i più virtuosi in tal senso.

“L’Italia sembra aver scelto il lavoro tradizionale”

“Aziende e lavoratori italiani – afferma a margine della diffusione del report il coordinatore del Comitato Scientifico Randstad Research Daniele Fano – sembrano aver scelto la strada del ritorno alle modalità di lavoro tradizionali, non cogliendo un’opportunità di cambiamento storica”.

“Una scelta – insiste Fano – che si differenzia molto rispetto a quanto fatto nei principali Paesi europei. La rivoluzione dello smart working nel nostro Paese sembra aver interessato, stabilmente, solo alcune categorie professionali, che non dipendono da una presenza fisica in ufficio e possono facilmente lavorare da casa. Ma di certo rimane aperto il tema della qualità di questo tipo di lavoro, in termini di integrazione con la mobilità intelligente, la programmazione per obiettivi, la congruenza dello stesso lavoro fatto nelle mura domestiche, la capacità di combinare la distanza con incontri in presenza”.

Enrico Parolisi

Giornalista, addetto stampa ed esperto di comunicazione digitale, si occupa di strategie integrate di comunicazione. Insegna giornalismo e nuovi media alla Scuola di Giornalismo dell'Università Suor Orsola Benincasa. Aspirante re dei pirati nel tempo libero.

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