Lavoro

Burnout lavorativo, il problema non è del lavoratore ma dell’azienda

La ricerca del McKinsey Health Institute rivela che per quattro direttori HR su cinque la salute psicologica dei dipendenti è la priorità assoluta. Ma i datori di lavoro riconducono i sintomi da burnout sempre al lavoratore.

Il burnout è un termine tutto sommato nuovo per il mercato del lavoro italiano, ma il concetto alla base non è certo nato oggi: c’è un carico emotivo e psicologico oltre che fisico legato al lavoro che spesso diventa insostenibile, ci consuma. Ed è per questo che il neologismo importato è lampante, quasi più del termine italiano utilizzato per indicare la sindrome da esaurimento professionale: il lavoratore in burnout è praticamente bruciato dal lavoro.

Questo fenomeno da più parti è argomento di studio, stante anche la rinnovata attenzione a tali temi in questo momento storico. Non ultima, la ricerca “Addressing employee burnout: Are you solving the right problem?”, condotta dal McKinsey Health Institute, ripresa dalla Healthy Virtuoso. Secondo questo studio quattro direttori HR su cinque mettono la salute psicologica dei dipendenti al primo posto tra le priorità sul luogo di lavoro. Questa sindrome in rapido aumento è definita come occupazionale dall’Organizzazione Mondiale della Sanità ed è caratterizzata da uno squilibrio cronico tra le richieste di lavoro (ad esempio, pressione del carico di lavoro e ambiente di lavoro povero) e le risorse lavorative (ad esempio, autonomia lavorativa e relazioni di lavoro di supporto).

Secondo Healthy Virtuoso, piattaforma per il miglioramento dello stile di vita dei dipendenti che dal 2017, anno del suo lancio sugli store Apple e Android (Play store), conta oltre 200mila download, esiste però un problema ed è nella percezione dei datori di lavoro del problema burnout.

Burnout, non dipende (solo) dal dipendente

Healthy Virtuoso infatti punta il dito: i datori di lavoro, sostiene, ritengono che la sindrome da burnout sia una faccenda di carattere personale, ovvero della risorsa che la contrae, e non di carattere aziendale. Il CEO di Healthy Virtuoso, Andrea Severino, lo definisce “campanello d’allarme” ed è un errore scaricare la responsabilità di tale burnout sul dipendente.

Tra gli errori in cui tutti coloro che hanno vissuto la vita d’ufficio saranno incappati una volta almento, infatti, c’è la cattiva abitudine di ricondurre l’esaurimento lavorativo andando a scavare tra i motivi personali della persona in burnout, o soppesandone l’attitudine a gestire lo stress o la pressione. Sbagliato, in linea di massima, perché un dipendente in burnout per l’azienda è un problema da gestire e al contempo deve spingere a riflessioni sull’organizzazione interna.

“I datori di lavoro- spiega Severino – devono considerare il burnout come un campanello d’allarme: sin dal primo caso, l’organizzazione (e non il dipendente) deve intraprendere un percorso di cambiamento sistematico radicale volto a ripensare il lavoro, le aspettative delle risorse e l’ambiente dal punto di vista dei processi organizzativi”.

Le 7 attività di prevenzione

Sono sette le attività di prevenzione individuate da Healthy Virtuoso per evitare il burnout dei dipendenti. Sette consigli, sette best practice che un’azienda può mettere in campo per ridurre i rischi di mandare in tilt e in esaurimento i propri talenti e le proprie risorse:

  1. Educazione al benessere: webinar, articoli, newsletter, conferenze e altri mezzi di divulgazione volti ad educare i dipendenti all’attuazione di un corretto stile di vita possono fare la differenza. Ad esempio, un podcast a titolo Qual è la differenza tra stress e burnout? può aiutare i dipendenti a riconoscere un problema medico.
  2. Check up: controlli periodici personalizzati possono aiutare i dipendenti ad acquisire maggiore consapevolezza sul proprio stato di salute, prima che si verifichi l’insorgere di eventuali problemi fisici o psicologici.
  3. Engagement aziendale: competizioni digitali, obiettivi, sfide e giornate di allenamento outdoor possono incentivare i dipendenti a muovere i primi passi nel mondo della prevenzione, aumentando contestualmente la coesione tra persone e lo spirito di appartenenza all’azienda.
  4. Sport in ufficio (o a casa): corsi di yoga, sessioni di stretching e allenamenti incentivati durante la pausa pranzo consentono ai dipendenti di ritagliare uno spazio esclusivamente dedicato all’attività fisica durante le ore lavorative senza toccare il resto della giornata.
  5. Consulenze con professionisti qualificati: il confronto diretto con nutrizionisti, psicologi e altri professionisti può aiutare le persone a mantenere uno stile di vita salutare costante.
  6. Programmi di incentivazione e premialità: premiare con voucher, premi e giorni di ferie chi, all’interno dell’azienda, si impegna quotidianamente ad affrontare uno stile di vita salutare può offrire una giusta motivazione alle persone per sposare nuove buone abitudini.
  7. Survey di clima e ascolto: distribuire questionari ad hoc può aiutare i direttori delle risorse umane a conoscere le reali esigenze dei propri collaboratori e le loro necessità e a costruire percorsi di benessere personalizzati.

Enrico Parolisi

Giornalista, addetto stampa ed esperto di comunicazione digitale, si occupa di strategie integrate di comunicazione. Insegna giornalismo e nuovi media alla Scuola di Giornalismo dell'Università Suor Orsola Benincasa. Aspirante re dei pirati nel tempo libero.

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