Lavoro

La lezione che ci viene dall’estate degli introvabili

Ormai saturi di uscite sulla mancanza di lavoratori stagionali, è il momento della riflessione super partes: ma non è che il modello del mercato del lavoro italiano vada seriamente riformato culturalmente?

Esausti anche oggi riceviamo notizia che in Italia non si trovano lavoratori. Questa volta l’ormai consueto appello arriva dalla Fondazione studi consulenti del lavoro che ricorda all’Italia che servirebbero a suo dire 50mila lavoratori stagionali e che all’appello all’11 agosto ne mancano 22mila. Diciamo anche che la stagione è ormai nel clou e ormai tendente al calo quindi più che chiamata alle armi è una amara constatazione che ha iniziato ad accompagnare lo storytelling multimediale già mesi fa.

Un’estate nera

L’estate degli introvabili, così possiamo chiamarla, ha i suoi protagonisti che hanno guadagnato le pagine dei giornali al grido di “Non vogliono lavorare perché c’è il Reddito di Cittadinanza”, una favola che lascia il tempo che trova. Il fenomeno della carenza di profili stagionali, monitorato dalla Fondazione studi consulenti del lavoro, costituisce “una tendenza che caratterizzerà il mercato del lavoro nei prossimi sei mesi e che rischia di far mancare all’appello 1 milione e 350mila lavoratori entro il 2026“, a fronte di “una domanda di 4,3 milioni di posti da occupare“.

La carenza di cuochi, camerieri e addetti agli stabilimenti balneari (ad agosto la percentuale è del 32%) rappresenta una fetta importante di un fenomeno diffuso, ma guai a guardare solo quello che manca sui lidi e nei posti di mare. I posti vacanti sono ovunque e in un Paese in cui la disoccupazione è ancora record questo paradosso non si può certo spiegare con la sola platea di percettori del Reddito di Cittadinanza.

Infatti, stando sempre all’analisi della Fondazione, il problema è prima di tutto anagrafico. E non v’era bisogno di grande intuito per immaginarlo. Calo demografico, ad esempio: la popolazione in età da lavoro (15-64 anni) in un lasso di tempo che va dal 2018 al 2021 (quindi relativamente breve) è diminuita di più di mezzo milione di lavoratori e riferendoci solo agli under 35, del 2,1% in meno di forza lavoro. . A questo si aggiunge una ricomposizione interna della popolazione in età da lavoro: è diminuita la componente attiva di chi ha un lavoro e lo cerca (-831mila per un decremento del 3,3%) ed è aumentato di contro il numero di quanti non lo cercano o sono scoraggiati a farlo (+194mila per un incremento dell’1,5%). Ed in questo contesto ci rientrano anche i nostri NEET, in un numero tale per cui l’Italia domina le tristi classifiche in materia da un punto di vista comunitario.

Il cambio di rotta

C’è poi tutto quel che riguarda l’effetto della pandemia sui lavoratori, e il cambio di rotta testimoniato da fenomeni come quello delle Grandi Dimissioni. Più di un racconto di cronaca e di un’analisi di dati in questi lunghi mesi – in cui hanno fatto ahìnoi più rumore gli imprenditori alla ribalta contro il Reddito di Cittadinanza – hanno comunque guadagnato il loro dovuto spazio. Salari bloccati e bassissimi, una consistente frangia di popolazione lavoratrice working poor, un rinnovato senso di ergonomia sul luogo di lavoro e anni di vendita di formazione hanno creato una classe di lavoratori che non possono ritrovarsi nella tipologia di lavoratore stagionale per propria stessa definizione.

Certo, c’è anche il sussidio di cittadinanza, non v’è dubbio. Ma il fenomeno è più complesso di quello che il milione circa di percettori RdC italiani possono raccontare. E include anche atavici problemi di incrocio domanda – offerta e un certo essere restii ad accogliere determinati cambiamenti, anche per cercare profili che un tempo erano a portata di mano tra i ragazzi del paese con poca voglia di tutele contrattuali semplicemente affiggendo un cartello alla porta dell’attività.

Inutile, insomma, lamentarsi se le cose non funzionano più e non fare niente. Invece diventa necessario accettare che il mercato del lavoro così com’è nel 2022 non risolve il problema: né di chi cerca e né di chi sta cercando. Ed è questa la lezione che questo anno horribilis deve darci: il cambiamento deve essere in primis culturale.

Mancano i lavoratori, non il lavoro

Secondo l’indagine Unioncamere di previsione dei fabbisogni occupazionali e professionali a medio termine, cui attinge la ricerca ‘Il lavoro che c’è, i lavoratori che non ci sono‘, a partire dal 2022 il mercato del lavoro italiano potrebbe aver bisogno in media ogni anno di circa 238mila laureati e 335mila diplomati secondari; a questi si aggiungerebbero circa 130mila diplomati delle scuole di formazione professionale. “Qualunque sia il livello considerato – viene spiegato – la non adeguata programmazione dell’offerta formativa rischia di creare nei prossimi anni criticità rilevanti nei percorsi di crescita occupazionali nel Paese”.

Enrico Parolisi

Giornalista, addetto stampa ed esperto di comunicazione digitale, si occupa di strategie integrate di comunicazione. Insegna giornalismo e nuovi media alla Scuola di Giornalismo dell'Università Suor Orsola Benincasa. Aspirante re dei pirati nel tempo libero.

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