Più della metà dei lavoratori ha subito discriminazione sul lavoro: lo studio Cegos
Su 4.000 dipendenti coinvolti nel sondaggio, il 63% dichiara di aver subito discriminazioni sul luogo di lavoro. Ma la percentuale sale sopra l'80 percento quando da vittime si passa ad essere testimoni.
![Discriminazione sul luogo di lavoro](https://i0.wp.com/www.jobsnetworkonline.it/wp-content/uploads/2022/09/fear-4208770_1920.jpg?resize=780%2C470&ssl=1)
Almeno una volta nella vita, il 63% degli intervistati ha dichiarato di aver subito discriminazione sul luogo di lavoro; la percentuale però sale all’82% se non si tratta di aver subito ma di aver assistito a una qualsivoglia forma di emarginazione nei confronti di un collega. Sono i dati, preoccupanti ma forse non così sorprendenti, che ha tirato fuori Cegos attraverso uno studio su un campione di 4.000 lavoratori dipendenti e più di 400 direttori e/o manager di risorse umane in sette Paesi. Oltre all’Italia, ci sono Francia, Germania, Gran Bretagna, Portogallo e Spagna e – oltreoceano – il Brasile.
Il gruppo Cegos, player internazionale del Learning & Development, nato in Francia quasi un secolo fa e attualmente presente in più di 50 Paesi, ha diffuso i risultati del sondaggio attraverso uno studio dal titolo: “Diversity & Inclusion nelle aziende: le competenze legate alle sfide di una trasformazione culturale”.
Dall’età allo status sociale: ecco perché si viene discriminati sul luogo di lavoro
Che gli ambienti di lavoro possano essere un inferno, un luogo di scontro o ambiente fertile per atteggiamenti discriminatori e vessatori è tristemente ancora un fatto noto. Secondo lo studio Cegos, per i responsabili HR il primo fattore in assoluto (il 25%) di discriminazione sul lavoro è data ancora dall’età. Seguono a ruota condizioni di salute (19%), genere (18%), aspetto fisico, livello scolastico e status sociale (16%).
Diversa la percezione dei dipendenti: è l’aspetto fisico il motivo principale di emarginazione e discriminazione. Età, opinioni politiche e genere seguono la triste graduatoria.
Il 71% del campione complessivo ha comunque ben chiaro cosa si intenda per diversità, e tre intervistati su quattro hanno “una visione cristallina sulla tematica dell’inclusione”, ritenendo inoltre che “l’organizzazione rifletta la diversità della società”. Ma solo il 42% dei dipendenti afferma di sentirsi “pienamente incluso” nel suo luogo di lavoro.
Riferendosi solo al campione dello Stivale interrogato (500 dipendenti e all’incirca 60 HR), viene fuori che causa delle discriminazioni che pesano sugli italiani sono sì l’aspetto fisico, ma anche identità di genere e situazione famigliare, in percentuale superiore rispetto alla media registrata dall’intero sondaggio.
La questione di genere
I comportamenti sessisti – si legge nel sondaggio – sono meno frequenti secondo 6 rispondenti su 10, ma è altrettanto vero che solo il 36% ritiene che le donne si sentano più libere di denunciare comportamenti discriminatori legati al proprio essere donna.
In generale, va detto, il 67% dei dipendenti intervistati è favorevole alla politica delle quote, così come il 65% degli HR Manager. Percentuali che salgono di dieci punti percentuale almeno se riferite all’Italia.
Nascita e soluzione della discriminazione sul posto di lavoro
Su una cosa, però, entrambe le platee di interrogati concordano: gli episodi di discriminazione si concentrano durante l’assunzione, in fase di promozione e di integrazione. Un problema sentito, che secondo i manager dell’HR va gestito direttamente alla radice con particolare attenzione a un percorso di recruiting delle risorse umane che sia non discriminativo. Una misura che da sola non basta: formazione specifica e flessibilità e/o supporto alla genitorialità o per i caregiver. Le principali soft skill che un manager dovrebbe sviluppare per essere più inclusivo sono l’empatia e la comprensione, l’ascolto e la tolleranza. In Italia, con il 50%, il primo posto, invece, viene occupato dall’intelligenza emotiva, seguito dall’apertura mentale.
“Se una serie di azioni di sensibilizzazione sono già in atto – spiega Cegos in una nota – serve però migliorare la comunicazione delle politiche di Diversity & Inclusion, chiaramente definite ed esposte in azienda solo per il 36% dei dipendenti italiani contro il 40% di quelli internazionali”. Occorrerebbe inoltre, secondo la ricerca, favorire una politica “tolleranza zero” nei confronti di discriminazione e molestie per il 43% degli HR Manager (37% in Italia). Per gli italiani, inoltre, sarebbero importanti anche lo sviluppo di una cultura comune, sottolineata dal 43% degli HR (38% a livello globale) e dal 34% dei dipendenti (32% a livello globale) e un management team che porti i valori dell’inclusione al più alto livello in azienda (43% rispetto al 33% dell’internazionale).